giovedì 29 ottobre 2009

Ecologismo e “Sinistra”: l’auto-insufficienza dei Verdi


Aldilà di considerazioni prettamente “politiche”, l’ultimo congresso dei Verdi, con la vittoria di Bonelli e della sua proposta di “Costituente Ecologista”, apre tematiche di riflessione che non possono essere eluse anche da chi si colloca fuori da logiche e appartenenze di partito. La chiave del ragionamento della nuova presidenza dei Verdi è, stringendo: ma chi ha detto che l’Ecologismo è di sinistra? Perché appiccicare alle tematiche ambientali la zavorra dell’equità sociale? Non sarebbe meglio un ecologismo “puro”, pronto a far sponda, ora a destra, ora a sinistra, in nome della comunemente condivisa causa verde?Alla base di questo ragionamento, riproposto dal prestigioso risultato di Cohn-Bendit in Francia, vi è la consolidata esperienza dell’Ecologismo tedesco – ma sicuramente, a ragione, l’asservimento a logiche partitiche e parlamentari che ha impedito ai Verdi italiani di denunciare le magagne quando al governo c’erano gli alleati, e un’incapacità di trasformare le istanze della base in proposte politiche pragmatiche.

Tutto dipende, al solito, dal peso che diamo alle parole. Per noi ecologismo non è forse ripensare il modello di sviluppo, figlio di decenni di politiche neoliberiste, e più in generale di una mentalità basata sul profitto come metro delle aspirazioni e della realizzazione personale? Non contestiamo che la somma degli egoismi individuali possa portare al benessere collettivo, quando il prezzo è la distruzione dei Beni Comuni, in primis l’ambiente naturale? E alla base di un nuovo modello, che possa garantire la salvezza del pianeta e nel contempo la felicità di chi lo abita, non dovrebbe necessariamente esservi un ripensamento delle dinamiche di sfruttamento tra capitale e lavoro, chiave della critica della sinistra d’ogni epoca? E ancora oltre, un abbandono del mito della crescita illimitata, da alimentata mediante induzione, via pubblicità, di bisogni sempre nuovi (..e lo chiamano “ben-essere”..!) e dal rapido deperimento dei beni che acquistiamo?

Possiamo tradurre tutto ciò in una mera retorica sulla “green economy”, in una visione tecnocratica della crisi ambientale – che pensa di risolverla con nuove mirabolanti scoperte scientifiche, nuovi combustibili “verdi”, persino una finanza “ambientale” come quella che si proporrà a Copenaghen sulle emissioni, e trasforma l’ambiente nel nuovo fattore produttivo di un ingranaggio già scricchiolante? O questa nostra visione non è altro che un nuovo accento con cui declinazione la parola “sinistra”, la critica dell’esistente da parte di chi ne rifiuta le storture e i rapporti di forza, che tiene conto però anche dell’ecosistema nella ricerca di un nuovo modello di società armonico ed equo – con un allargamento, e non un restringimento, del consueto campo di azione della sinistra?

Certo, la gravità della crisi richiede il massimo sforzo, e allora è già un risultato il nuovo interesse riformista sul tema, ma gli scienziati ci ripetono che non basterà fare affidamento ad energie rinnovabili – tantomeno al nucleare! – per rimpiazzare i combustibili fossili e tornare a vivere come nulla fosse: ci sarà bisogno proprio di rinegoziare il nostro stile di vita, e di affrontare con obiettività radicale la paura che abbiamo di farlo.

Davvero ci hanno convinto di essere nel migliore dei mondi possibili? Davvero non riusciamo ad immaginare la nostra vita senza auto e con aria pulita? Davvero non riusciamo più a commuoverci ad ogni nuova alba, e ad indignarci quando occupazioni futili, ripetitive ed autistiche ci strappano alla gioia di vivere?

Malthos, EF! Roma