L’ecologismo istituzionale è la prospettiva statalista e quindi centralista che cerca di risolvere la crisi ambientale attraverso leggi e decreti. E’ un ecologismo di delega nel senso che attua la gestione del territorio delegando la sua tutela a vari organismi: nazionali, regionali o provinciali. Questi organismi nascono da una visione dello spazio puramente politica conseguenza di una visione antropocentrica della realtà. E’ un ecologismo inefficace perché salta il piano più importante del rapporto uomo-natura: la sua dimensione di territorio; una dimensione tutt’altro che teorica e generica che nulla ha a che fare con il lessico, sempre politico, di “provincia” o “regione”. Il territorio è l’insieme delle relazioni umane ed extraumane di cui la comunità umana stessa è parte. Relazioni volontarie ma in gran parte involontarie, fattuali. In questo senso la dimensione di territorialità della natura è prima di tutto una questione biologica, non soltanto politica. Perché mentre all’interno della comunità umana l’uomo è sia soggetto che oggetto, nella comunità naturale l’uomo è prima di tutto oggetto poiché le “leggi” naturali che regolano i rapporti all’interno del vivente sono immutabili. Al centro della Natura c’è dunque la Natura stessa e non l’uomo.
Ora l’istituzione è entità puramente umana svincolata dalle leggi naturali. Il comune di Milano, ad esempio, può gestire la circolazione delle auto e cercare di amministrare la comunità umana che lo legittima, ma l’inquinamento risulta ingestibile per il semplice fatto che le leggi che lo regolano, di cui l’uomo è in gran parte a conoscenza, sono immutabili. L’inquinamento, in altre parole, non è il prodotto dell’ingiustizia umana ma è la conseguenza della giustizia/ordine/sistema naturale, il cosiddetto feedback negativo.
Earth First! non nasce per difendere l’esistente, perché difendere lo stato attuale delle cose significherebbe assicurarci una lenta e dolce morte. Penso che il nostro obbiettivo debba essere quello di creare un' osmosi dinamica tra comunità umana e comunità naturale, ponendo fine alla guerra in atto, culturale e reale, tra artificiale e naturale. Anche perché questa guerra risulta essere persa in partenza e ce ne accorgiamo ogni giorno che passa.
La battaglia che vogliamo vincere si gioca nei territori e ha come protagonisti i territori stessi, le comunità che li vivono. Non è una battaglia di avanguardie ma di masse, di consenso. Si vince rompendo i meccanismi che rendono passive le comunità locali, vittime di scelte calate dall’alto, fuori dalle dinamiche umane e naturali delle varie realtà. Ha come corollario, quindi, lo scardinamento del principio di delega.
L’esperienza di “Cascadia Free State” del 1994 in Oregon ha il sapore di questa realtà. Quella che era partita come la difesa di una delle rimanenti foreste secolari dello stato divenne nei mesi una realtà autosufficiente e indipendente nel cuore della foresta stessa. Le centinaia e migliaia di persone che furono protagonisti di quella stagione non difendevano qualcosa, lo stavano vivendo. Una doppia relazione li vincolava: quella sociale e antropica, interna alla comunità umana, e quella naturale. Evidentemente non fu, oltre alla vittoria raggiunta, nient’altro che un punto di partenza.
Ma qualcosa queste ed altre esperienze ce l’hanno insegnato. L’ecologismo per noi non è la difesa del naturale ma la guerra al dominio dell’artificiale, dell’antropocentrismo, della dittatura della politica sul naturale. Il futuro non è nella differenziazione delle zone in parchi naturali o urbane, il futuro è eliminare quella distinzione. Questo processo potremmo chiamarlo “ecologismo naturale”.
Mar.tu. - EF! Roma