mercoledì 29 luglio 2009

Serge Latouche: manifesto del doposviluppo...


Pubblichiamo un brano dal "Manifesto del doposviluppo" di Serge Latouche, certi che l'idea di Decrescita prospettata dal filosofo francese si riallacci molto bene ai temi dell'ecologismo biocentrico.

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Rompere l'immaginario dello sviluppo e decolonizzare le menti

Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L'economia dev'essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l'umanità dalla miseria psichica e morale. Si tratta di una vera decolonizzazione del nostro immaginario e di una diseconomicizzazione delle menti indispensabili per cambiare davvero il mondo prima che il cambiamento del mondo ce lo imponga nel dolore. Bisogna cominciare con il vedere le cose in altro modo perché possano diventare altre, perché sia possibile concepire soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d'essere che l'espansione della produzione e del consumo.
La parola d'ordine della rete è dunque "resistenza e dissidenza". Resistenza e dissidenza con la testa ma anche con i piedi. Resistenza e dissidenza come atteggiamento mentale di rifiuto, come igiene di vita. Resistenza e dissidenza come atteggiamento concreto mediante tutte le forme di autorganizzazione alternativa. Ciò significa anche il rifiuto della complicità e della collaborazione con quella impresa dissennata e distruttiva che costituisce l'ideologia dello sviluppo.

Illusioni e rovine dello sviluppo

La attuale globalizzazione ci mostra quel che lo sviluppo è stato e che non abbiamo mai voluto vedere. Essa è lo stadio supremo dello sviluppo realmente esistente e nello stesso tempo la negazione della sua concezione mitica. Se lo sviluppo, effettivamente, non è stato altro che il seguito della colonizzazione con altri mezzi, la nuova mondializzazione, a sua volta, non è altro che il seguito dello sviluppo con altri mezzi. Conviene dunque distinguere lo sviluppo come mito dallo sviluppo come realtà storica.
Si può definire lo sviluppo realmente esistente come una impresa che mira a trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la natura. Si tratta di sfruttare, di valorizzare, di trarre profitto dalle risorse naturali e umane. Progetto aggressivo verso la natura e verso i popoli, è -come la colonizzazione che la precede e la mondializzazione che la segue- un'opera al tempo stesso economica e militare di dominazione e di conquista. È lo sviluppo realmente esistente, quello che domina il pianeta da tre secoli, che causa i problemi sociali e ambientali attuali: esclusione, sovrappopolazione, povertà, inquinamenti diversi ecc.
Quanto al concetto mitico di sviluppo, è nascosto in un dilemma: da una parte, esso designa tutto e il suo contrario, in particolare l'insieme delle esperienze storiche e culturali dell'umanità, dalla Cina degli Han all'impero degli Inca. In questo caso non designa nulla in particolare, non ha alcun significato utile per promuovere una politica, ed è meglio sbarazzarsene. Dall'altra parte, esso ha un contenuto proprio, il quale designa allora necessariamente ciò che possiede in comune con l'avventura occidentale del decollo dell'economia così come si è organizzata dalla rivoluzione industriale in Inghilterra negli anni 1750-1800. In questo caso, quale che sia l'aggettivo che gli si affianca, il contenuto implicito o esplicito dello sviluppo è la crescita economica, l'accumulazione del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che si conoscono. Ora, questo nucleo centrale che tutti gli sviluppi hanno in comune con tale esperienza, è legato a rapporti sociali ben particolari che sono quelli del modo di produzione capitalistico. Gli antagonisti di "classe" sono ampiamente occultati dalla pregnanza di "valori" comuni ampiamente condivisi: il progresso, l'universalismo, il dominio della natura, la razionalità quantificante. Questi valori sui quali si basa lo sviluppo, e in particolare il progresso, non corrispondono affatto ad aspirazioni universali profonde. Sono legati alla storia dell'Occidente e trovano scarsa eco nelle altre società. Al di fuori dei miti che la fondano, l'idea di sviluppo è totalmente sprovvista di senso e le pratiche che le sono legate sono rigorosamente impossibili perché impensabili e proibite. Oggi questi valori occidentali sono precisamente quelli che bisogna rimettere in discussione per trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo ed evitare le catastrofi verso le quali l'economia mondiale ci trascina. Il doposviluppo è al contempo postcapitalismo e postmodernità.